Come al solito il meteo è incerto e si “scappa” dove è meno peggio, e tanto per cambiare tocca dirigersi ad Ovest. La scelta è
ricaduta sul monte Boragine, da parecchio tra i TO DO ma sempre superato dall’interesse per qualche altra meta.
Già sulla Salaria i colori dell’autunno ci hanno entusiasmato ma una volta superata Cittareale quello che ha preso a contornarci è
diventato sublime; per tonalità, varietà di colori ma soprattutto per la diffusione dei boschi misti con prevalenza di aceri in
piena mutazione. Nonostante il sole non illuminasse ancora questo settore, il paesaggio è diventato una vera tavolozza di colori,
le premesse per un foliage dirompente c’erano tutte. Quando abbiamo attraversato valle di San Rufo sono nati i primi dubbi sulla
scelta della meta, era inevitabile visto il paesaggio che ci si è presentato davanti, eppure siamo rimasti fermi sul progetto
iniziale del Boragine anche se ad onor del vero si capiva lontano un miglio che avrebbe avuto vita breve; a 1400m siamo già nel
mezzo di fitte nuvole e c’è voluto poco a decidere che il Boragine avrebbe aspettato ancora e che oggi non avremmo avuto una meta
precisa, la giornata l’avremo dedicata semplicemente ai colori e all’autunno.
Il piazzale di Selva Rotonda ci serve per girare senza fare manovra e riscendiamo velocemente per Cittareale, parcheggiamo sulla
larga sella della valle di San Rufo (ormai per noi meta frequente) nel mentre che il sole sbuca dalla cresta del monte Prato e accende
i colori. Ogni dubbio sul cambio di progetto sparisce anche perché dalla parte opposta le cime sono ancora sepolte dalle nuvole.
Imbocchiamo l’ampia carrareccia che scorre a centro valle, dopo poche centinaia di metri, invitati da una bella traccia che traversa
tra gli abeti e per variare la salita decidiamo su due piedi di seguire la linea della dorsale di sinistra. Superiamo un vetusto
reticolato e in breve siamo fuori dal bosco, o meglio ci troviamo ad attraversare radure e boscaglie senza una traccia di riferimento
che non siano quelle degli animali al pascolo. Per linee logiche prendiamo quota, traversiamo prati bruciati e piccole faggete disseminate
di aceri, contrasti di colori entusiasmanti, riflessi diversi a seconda che li si guardi a favore di luce o controsole, dai gialli
fosforescenti ai rossi caldi che migrano alla ruggine, la tavolozza di Dio non ha più spazio a contenerne altri. Superiamo una ad una le
diverse tonde alture che incontriamo salendo, ci teniamo sempre lontani dalla cresta che aggetta nella val di San Rufo, in basso tonde e
spoglie rotondità sono puntellate da singoli alberi distanziati, faggi, aceri, roverelle e quanto basta per creare un quadro d’autore dalle
mille sfumature, dieci passi e ci si ferma per godere dei colori e per provare di portarseli a casa con qualche bello scatto; oggi sarà così,
senza una meta, senza guardare l’orologio e solo a caccia di colori.
Sempre per linee logiche e senza tracce evidenti continuiamo a scavalcare erbose rotondità che si alzano gradualmente, superiamo tratti di
bosco ed estese praterie, una ampia sella con degli isolati faggi, non ce ne è uno dello stesso colore, sembra di stare in un giardino di
qualche villa sontuosa, stupendi, entrano diritti al cuore, destano leggere e struggenti emozioni, come è bella la natura in autunno!
Dopo una breve salita al margine del bosco non continuiamo a traversare come sarebbe più logico, decidiamo di attaccare direttamente il
pendio e di raggiungere la dorsale, dovevamo essere in vista del Pozzoni ormai; corta ma ripida salita quella dell’ultimo tondo monte che
anticipa il torrione dei Peschi dell’Aquila ma quando si arriviamo sopra il panorama che si spalanca ripaga del fiato corto. L’alta valle di
San Rufo si spalanca sotto di noi profonda e di un rosso intenso che sta virando già al ruggine; il torrione del Peschio dell’Aquila si erge
verticale e bello da far dispetto alla sua modesta altezza, della stessa eleganza che colpisce quando lo si osserva quando si percorre la
Salaria, il Pozzoni è invece tra le nuvole, alla pari del Boragine, pare che oggi non ce la facciano a farsi baciare dal sole. E’ uno spettacolo tutto!
Seguendo la linea di cresta scendiamo sull’ampia sella prima del Peschio delle Aquile, la faggeta la sfiora, una sottile traccia la percorre
tutta e riprende a traversare in leggera salita; preferiamo di nuovo strappare direttamente in salita, quando si è qui una puntata sull’adrenalinico
belvedere del Peschio è d’obbligo. Raggiungiamo la sottile cresta che vira verso il centro della valle sottostante si fa sempre più sottile, i
versanti sfuggono intorno e quando con una impennata breve ma ripida raggiunge il pulpito del torrione ci si sente davvero molto esposti, è tutto
estremamente sicuro, c’è il sentiero, c’è lo spazio, un passo più in là però tutto precipita; non raggiunge i 1700m ma è una cimetta meravigliosa,
stratosferica la vista che domina tutta la valle di San Rufo, dalla vetta del Pizzone a Cittareale e fino alla Salaria, con i colori di oggi poi ….
Riprendiamo a ritroso la sottile crestina, si fa larga quasi subito e finisce per confluire nell’ampio circolo che chiude la valle, il Pizzone non
rinuncia alla sua nuvolaglia e noi rinunciamo alla salita in vetta; su una delle diverse tracce che entrano nel vallone raggiungiamo la diroccata
fonte ai margini del bosco; per darci un obiettivo abbiamo deciso di andare alla ricerca della sorgente del fiume Velino, sul versante opposto,
dovrebbe trovarsi nella parte alta dell’evidente ultimo fosso tra l’altro boschivo.
Dalla fonte saliamo una piccola traccia che poi entrando nel bosco si fa sentiero evidente ed anche molto bello, attraversa una faggeta
inevitabilmente carica di tanti riflessi, il sole ci batte direttamente e i colori sono incredibili, accendono le foglie, le gocce di umidità
che non è evaporata brillano, anche l’aria che respiriamo sembra colorata e densa di toni caldi. Abbandoniamo la traccia principale quando
questa scende con decisione dentro il fosso per attraversarlo, ne prendiamo una meno evidente che lo costeggia sulla sinistra e che sale il
versante ripido, il fosso è asciutto, saliamo pur sapendo che visto il momento della stagione sarà difficile intuire la sorgente. Il letto del
fosso si fa sempre meno definito, in un tratto piano e poco più largo diventa melmoso, le impronte che lasciamo al passaggio si riempiono di un
filo d’acqua segno che il terreno è impregnato, pensiamo di essere nei pressi della sorgente ma preferiamo cercare qualche segnale più preciso,
che troviamo, o almeno ci sembra di trovare, quando continuando a salire scoviamo un anfratto tra l’erba e gli arbusti dove cola un filo d’acqua,
ci troviamo nella parte alta del fosso, al limite del bosco, se non è esattamente questa la sorgente del fiume sarà qualche metro più in là o sopra
e a noi ci basta, col proposito di tornarci ancora e quando sarà il momento giusto, il prossimo anno a fine aprile o i primi di maggio in dipendenza
di quanta neve avrà fatto, ricominciamo a scendere.
E il rientro, che pensavamo come sempre una mesta chiusura della giornata, diventa presto il momento clou; il primo chilometro circa si scende veloci
dentro la faggeta, traccia molto evidente ma ripida e anche scivolosa, tocca stare in guardia, poi appiana e quando lo fa la faggeta si dirada, gli
slarghi, in corrispondenza delle pareti rocciose dei Peschi lasciano intravedere dei giardini rocciosi coloratissimi di una bellezza incomparabile e
quasi impossibile da realizzare, veri quadri impressionisti, un esercizio per gli occhi e per la mente difficile da fare proprio. Al di sopra della
faggeta, nei ghiaioni, e quasi fin sotto le pareti di roccia che precipitano prive di vegetazione, gli alberi sono radi, non isolati ma ben separati
e distinti, ognuno di un colore diverso, toni caldi, come sempre dal giallo al rosso, qualcuno ancora con qualche sfumatura di verde, sembra un
giardino costruito dall’uomo rispettando il concetto della bellezza e dell’armonia; dal momento che l’uomo invece non ci ha messo le mani su questa
meraviglia deduco che la natura è architetto e scenografo perfetto e migliore dell’uomo, basta solo lasciarla libera di esprimersi.
Soste e fotografie non hanno fine, si è increduli davanti a tanta leggerezza e tanta delicatezza di colori, già amavamo questa valle, per le linee
che la chiudono in alto, per la purezza e per la semplicità che emanano, ho sempre definito il Pozzoni dalla Val di Rufo un piccolo scrigno di eleganza
fatta montagna; con oggi prenderà un posto ancora più profondo nel nostro immaginario. Fine ottobre di tutti gli anni, diventerà una tappa obbligata
per godersi un foliage di prim’ordine e per ritrovare una “cuccia” dove far rilassare lo spirito. Superiamo la fonte di San Rufo e già davanti si fanno
notare le sagome di tre aceri tra loro vicini ma isolati, tre tonalità di rosso diverse, quale mano di pittore riuscirebbe a creare così delicate
differenze? Non sapevamo più dove guardare per esaltarci, in lontananza, non lontano da Cittareale e quindi dalle sagome confuse e indistinte un
gruppo di alberi, aceri, pioppi, roverelle e chissà che altro chiudevano l’orizzonte con sfumature che viravano dal bianco, forse erano solo riflessi,
al giallo, all’arancio e al rosso con spruzzate di verde nel mezzo, c’era di tutto intorno, da diventare matti e da supplicare il sole di non tramontare
dietro il Boragine. E invece prima le ombre si allungano e poi una coltre sottile di nuvole si stende in cielo e le cromie si spengono. I colori, come
il pomeriggio, stavano prendendo la via del crepuscolo.
Oggi è stata una giornata speciale, pochi chilometri, una decina forse meno, 800 i metri di dislivello a forza di salire e scendere e senza toccare
vette, e un tripudio di emozioni visive indimenticabili, una vera terapia del colore che farà bene al cuore e che non potremo mai dimenticare.